Il Papiro delle miniere d’oro è la mappa, risalente al Nuovo Regno, del sito minerario di Berenice Pancrisia individuato in Nubia il 12 febbraio 1989 dai fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni e conservato nel Museo Egizio di Torino. Contiene oltre al disegno, indicazioni scritte in ieratico.

Generalmente è anche chiamato il papiro di Seti I ma l’attribuzione è dubbia perché il probabile periodo di riferimento andrebbe dal 1290 al 1147 a.C. circa e cioè da Seti I a Ramesse IV. Rappresenta una via attraversata da numerose miniere d’oro ed i primi studi effettuati avrebbero individuato dette miniere nel Uadi Hammamat. Si è ipotizzato che la schematica mappa fosse stata realizzata da una spedizione egizia che cercava una cava di pietra bekhen cioè di breccia verde o basanite e mostrerebbe il sentiero che dal Nilo porta alle miniere, tra montagne, raffigurate di profilo, lungo i lati del sentiero.

La parte inferiore della mappa indica le abitazioni degli operai che lavoravano nelle miniere mentre, in bianco, è indicato il tempio di Amon che indicherebbe una città permanente.

Successivamente, però, con la scoperta di Berenice Pancrisia, studi più approfonditi ed accurati, come quello di G. Negro, hanno dimostrato una notevole corrispondenza tra la topografia del papiro e quella del sito archeologico, ed in particolare, con la zona più arcaica e ancora sommersa dalla sabbia. Numerose le corrispondenze come le colline rosse aurifere, il tempio di Amon, le abitazioni dei minatori, le strade, i sentieri, il pozzo e compresi, ovviamente, i riferimenti geografici dei punti cardinali.

Inoltre nel Wadi Hammamat non vi sarebbero le gallerie per l’estrazione dell’oro, come raffigurato sul papiro, ma solo cave di pietra con qualche miniera di pietre preziose.

Il Papiro delle miniere d’oro è considerata la mappa stradale più antica conosciuta e con essa ci è pervenuta anche l’indicazione di una stele, sempre attribuita al faraone Seti I, che, se non già trafugata, non è stata ancora trovata.

Andrebbe sistematicamente cercata, tra le sabbie del deserto, come l’ultimo inestimabile tesoro di Berenice Pancrisia

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